film animazione oscar 2022

Anche quest’anno, come capita un po’ troppo spesso a dirla tutta, la stragrande maggioranza dei titoli candidati agli Oscar batte bandiera a stelle e strisce. L’animazione nipponica (in crisi da anni, vero, ma sempre in grado di proporre almeno un paio di titoli interessanti) ed europea (spesso notevole, ma carente lato marketing) non riescono a scalfire il dominio di Disney, Dreamworks e compagnia. Detto ciò, la cinquina di quest’anno è di buona qualità. 

LUCA – Enrico Casarosa

Promosso!
Da vedere è una gioia per gli occhi e tecnicamente è il solito crack made in Pixar, anche se stringi stringi è più o meno sempre la stessa solita storia di “accettazione del diverso” già stravista un miliardo di volte. Ho trovato più coeso, coraggioso e innovativo Raya and the last dragon e più spassoso, folle e originale The Mitchells vs The Machines. L’”italianità” (sarebbe meglio dire “liguriosità”), è ben resa, anche se è significativo che per mostrare il nostro Paese al cinema si ricorra sempre a clichè/prodotti (clamoroso il marchettone alla Vespa)/setting degli anni ’50 e ’60, evidentemente la globalizzazione ha azzerato ogni specificità uniformandola in un blob unico e “liquido”. Insomma, godibile, estivo, davvero per tutti (però inferiore a Soul, tra i non-franchise recenti Pixar).

(Qui la nostra recensione.)

 

ENCANTO – Byron Howard e Jared Bush

Uh, che smaronata. Verboso oltre ogni sopportazione, canzoni meh, lunghezza insostenibile e stringi stringi non succede nulla per quasi due ore. Davvero due palle così, lontanissimo dai livelli di Raya e l’ultimo drago o Oceania, per non parlare di Zootropolis, giusto per citare titoli recenti.

 

FLEE – Jonas Poher Rasmussen

Inizia con la musica degli Ah-a e termina con quella dei Daft Punk uno dei più brillanti film animati degli ultimi anni, danese, che funziona alla perfezione sia come documentario storico che come drammatico coming-of-age. La storia (vera) racconta l’odissea di Amin, un bambino afgano che alla fine degli anni ’80 cerca di raggiungere con la famiglia l’Europa, in fuga da un paese in guerra (ho un deja vù…) e viene sballottato tra mercanti di uomini senza scrupoli, poliziotti corrotti, burocrazia ostile e difficoltà ad integrarsi. L’happy end (l’uomo è diventato un accademico) compensa una vita vissuta pericolosamente, ma in quanti ce la fanno? Formalmente ineccepibile, caratterizzato da un tratto volutamente grezzo e poco armonico, richiama le atmosfere di Waltz with Bashir che, anni fa, ridefinì il concetto stesso di documentario animato. Intrigante la regia di Jonas Poher Rasmussen, bizzarra (ma nemmeno poi tanto, il secondo è danese) la coppia di produttori, Riz Ahmed e Nikolaj Coster-Waldau.

 

I MITCHELL CONTRO LE MACCHINE – Mike Rianda e Jeff Rowe

11/10, Magna cum laude, Epic Win. In sintesi: da sbellicarsi.

 

RAYA E L’ULTIMO DRAGO – Don Hall e Carlos López Estrada

Spettacolare, uno dei migliori Disney degli ultimi anni e sicuramente il più “miyazakiano” (+ Mulan, quello animato, ovviamente + Indiana Jones) di tutti. Un’avventura ricca di pathos, ironia, un pizzico di non sense, tecnicamente sublime, senza canzoni (deo gratias), con messaggi giusti e attuali (ma declinati correttamente, stavolta). Promosso su tutta la linea e davvero per tutti (adulti, bambini, adulti+bambini).

(Qui la nostra recensione)

 

IL GRANDE ASSENTE

Belle – Mamoru Hosoda

Hosoda torna a raccontare il Metaverso, dieci anni dopo Summer Wars, e una sua personalissima versione de La Bella e la Bestia, con un film è che la summa di tutte le sue opere precedenti da cui pesca piccoli ma significativi elementi (la famiglia da Mirai e Wolf Children, il rapporto “maestro/padwan” da The Boy and the Beast, l’ambientazione liceale da La ragazza che saltava nel tempo, il cyberspazio da, appunto, Summer Wars). Il risultato, tra qualche alto e basso, dovuti ad una mancanza di omogeneità nel ritmo della storia, convince e risulta ovviamente superiore a quasi tutti i film candidati all’Oscar animato di quest’ anno (Belle non è nemmeno nella cinquina finale, assurdo). Tecnicamente è straordinario (gli sfondi in 2D sono i migliori “wallpaper” di sempre, forse persino più dettagliati di quelli dei film di Shinkai) e regala scene potenti e emotivamente d’impatto. Non è il suo migliore, ma è stra-promosso.

 

 



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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